Ci sono fotografie-oggetto, e sei tu a guardarle; ci sono fotografie che invece prendono l’iniziativa, e a guardarti sono loro. Le fotografie di Danilo De Marco, reporter ma anche giornalista, sono di questa seconda specie. Il suo obiettivo non ingoia quel che inquadra, non lo tiene per sé; è solo mediatore fra gli occhi di qui e gli occhi di là. Per questo sono fotografie che piacciono agli antropologi, che hanno smesso la pretesa dell’osservazione oggettiva e accettano di essere presi in mezzo nel gioco degli sguardi reciproci. Così anche Danilo De Marco. E’ un fotografo di parte, e non bara. Ha camminato mezzo mondo: dalla Cina al Messico, dalle montagne dei Kurdi in Turchia e Iraq alle selve degli U’wa in Colombia, fino alle Ande dell’Ecuador. Dalla valle della Narmada in India ha raggiunto i Tamil dello Sri Lanka. Dai campesinos della Bolivia al Brasile dei Sem Terra, fino a raggiungere dall’altra parte degli oceani l’Uganda e i bambini in fuga chiamati “pendolari della notte”, per poi perdersi nelle foreste del Congo. Ha maturato una esemplare esperienza comparativa, ha condiviso cibo e giaciglio con tante culture. Non le ha attraversate e non le ha consumate; una alla volta, le ha fatte sue e se le porta dentro tutte. Bocconi amari.
Andare di là, condividere, tornare poi (diversi da come si era partiti) a raccontare quel che si è visto e quel che si è riusciti a capire: lo sentiamo dei nostri, nella corrente della miglior antropologia. Conta poco come si racconta, al ritorno, se con parole o per immagini; conta raccontare con efficacia e verità.
Gianpaolo Gri